martedì 11 luglio 2023

Vivere tra i selvaggi

«Pensa che vedremo mai l'alba nella nostra vita?». Lo chiese Friedrich Kritzinger a un amico al termine della conferenza di Wannsee, e me lo chiedo anche io oggi.

Se cercate il termine "Selvaggio" nel vocabolario Treccani, potrete leggere quanto segue:

s. m. (f. -a), fig. Persona sfrenata, eccessivamente vivace, o addirittura indisciplinata, irrispettosa, che non osserva le tradizionali regole di comportamento: mòderati un po’, sei proprio un s.!; spec. al plur.: erano un’orda, un branco, una banda di selvaggi che di notte facevano un chiasso indiavolato per le strade. Con uso iperb., persona ribelle, o scontrosa, non socievole, per lo più riferito a ragazzi: è un s., non riesce a fare amicizia con nessuno.

La prima parte è quella che ci interessa. Non pensiamo al selvaggio come a colui che vive lontano dai centri abitati e conduce una vita allo stato brado. Pensiamo al selvaggio come a colui che, pur vivendo in una società organizzata, non osserva le tradizionali regole di comportamento. Una persona indisciplinata, ribelle, irrispettosa, che non si cura del suo prossimo ma solo ed esclusivamente di se stessa. Tenuto conto di questa definizione, possiamo certamente dire che il nostro mondo brulica di selvaggi. Basta uscire di casa per incontrarne in grande quantità. Di solito questi selvaggi, come fra le comunità animali, fanno branco: si riuniscono, discutono, ridono, giocano, e non tollerano chiunque sia intellettualmente e/o moralmente superiore a loro. D'altra parte, chi è intellettualemente e/o moralmente superiore a loro, non gradisce la loro compagnia: la dissintonia è talmente grande da provarne forte repulsione. Ma continuiamo a parlare di loro.

Conoscete qualcuno famoso che mostrò insofferenza verso persone del genere? Eh sì, non possiamo non citare lui, il grande poeta e scrittore Giacomo Leopardi. Parliamo di un uomo che visse tra il 1798 e il 1837, quindi non proprio qualche anno fa. Cosa aveva di tanto particolare Leopardi? Semplicemente, era un uomo molto sensibile e percepiva cose che altri non potevano percepire. Chi gli ha dato del pessimista probabilmente non ha capito granché sulla sua personalità. Vedere la vita per quella che effettivamente è, non è pessimismo ma realismo. Il grande realismo della vita umana. A me piace molto Leopardi perché riesco a vederne le qualità umane e spirituali, a parte il grande intelletto. Ora vi citerò passi di alcune sue lettere, dai quali si evince il suo mal di vivere. Tutto gli diventa odioso, meschino e il senso della solitudine interiore diviene insopportabile. Nel "selvaggio borgo antico", in seno alla famiglia, nasce in lui un prepotente bisogno di fuggire, di evadere nella speranza di trovare altrove, quello che lui crede non esistere a Recanati. Incominciano i suoi viaggi: a Roma, ospite dello zio Carlo Antici, poi a Milano, Bologna, Ravenna, Firenze, Pisa e infine Napoli. Ma nessun luogo gli va bene. Da Roma scrive al fratello Carlo: «delle gran cose che io vedo non provo il minimo piacere», e dei romani: «la frivolezza di queste bestie passa i limiti del credibile», «le donne romane fanno propriamente stomaco», «è incredibile la nullità di questa gente». Da Bologna nel 1825: «città quietissima, allegrissima, ospitalissima». Da Bologna un anno dopo: «maledetta città e chi l'ha inventata». Da Milano al fratello Carlo: «per l'uomo venuto dal sud, è un dramma, nessuno pensa a voi e ciascuno vive a modo suo... 120.000 uomini vi stanno insieme per caso come 120.000 pecore». Da Firenze nel 1831, alla sorella: «le fiorentine sono delle contadine ed il clima non è migliore di Recanati, bisogna dimenticarsi di veder l'orizzonte, tira vento ogni giorno». E infine da Napoli: «non sopporto più questo paese semibarbaro e semiafricano dove vivo in un perfettissimo isolamento, dove ogni affare di una spilla porta un'eternità di tempo; ed è così difficile il muoversi senza crepar di noia...».

Da questi suoi scritti si possono fare varie riflessioni. La prima: chi ha la fortuna o sfortuna (a seconda dei punti di vista) di nascere sensibile, è con tutta probabilità destinato alla solitudine. Una solitudine che è diretta conseguenza della dissintonia col resto del mondo. La seconda: "Tutto il mondo è paese" sembra un banale luogo comune ma non lo è. Non si può sfuggire ai problemi esistenziali cambiando città o Paese: essi saranno omnipresenti, perché il mondo è abitato sempre dalle stesse persone. Possono cambiare lingua, usi e costumi, ma il dislivello intellettuale e/o morale si sentirà sempre e comunque. Ultima riflessione: sono passati più di due secoli dall'epoca leopardiana, eppure le cose non sono migliorate. Anzi, non credo di esagerare dicendo che negli ultimi 40 anni la società umana è peggiorata parecchio, e che i "selvaggi" ne costituiscono la gran parte.

Come riconoscere un selvaggio? Non abbiamo la possibilità di utilizzare un "wild-detector", che non è stato ancora inventato. Ma un selvaggio, di solito, non impiegherà molto a farsi riconoscere. Sono uomini e donne di basso livello evolutivo, che vi faranno sentire molto a disagio. Dato che abbiamo il sacrosanto dovere di amarci ed evitare le situazioni di pericolo, non possiamo far altro che tenere questi individui alla larga. Evitare quindi tutti i luoghi in cui sono soliti riunirsi. Quando invece, per forza di cose, dobbiamo averci a che fare, ad esempio nell'ambito lavorativo, allora la situazione si complica. Il selvaggio prova disprezzo e talvolta abominio per chi è gentile, rispettoso, pacifico, per chi non alza la voce, chi non fa lo spaccone. Un uomo che ha queste caratteristiche gli sembrerà debole e facilmente soggiogabile. Istintivamente, tenderà a sottometterlo con la sua forza. Per cui, la primissima cosa da fare in presenza di selvaggi è non mostrarsi mai teneri. Questo può andare contro la nostra naturale inclinazione, ma è necessario per la sopravvivenza. Ce ne danno un esempio gli animali. Prendete un cane: con voi sarà dolce e affettuoso, ma non appena gli si avvicina un estraneo ringhierà mostrando i denti. Questo è ciò che purtroppo dobbiamo fare noi con questi soggetti. Non pensate erroneamente che col vostro buon esempio queste persone cambieranno: non è così. I selvaggi non imparano nulla, se non dopo "sonore batoste" che la vita gli dà, e a piccoli impercettibili passi. Non saranno le vostre gentilezze, i vostri riguardi, i vostri atti di amore a farli riflettere. Come già detto, quelli sono per loro chiari segnali che possono mettervi i piedi in testa. Quindi, evitare i luoghi frequentati da selvaggi e frequentare luoghi che essi evitano. Faccio un esempio: andare a vedere film di cinema d'essai. Sono film di grande spessore culturale e qualitativo che loro, essendo frivoli, non guarderanno mai. Oppure frequentare mostre, musei, teatri. Si può fare selezione anche nell'attività sportiva. Scegliere discipline non di gruppo, che quindi evitano il contatto con selvaggi.

Chissà se riusciremo mai a vedere un mondo migliore. Nel mio immaginario, vedo i tempi futuri più luminosi, con una società planetaria finalmente evoluta, che ama il pianeta e il prossimo. E i selvaggi, giustamente relegati dove dovrebbero stare: in un pianeta selvaggio. Speriamo che tutto questo divenga realtà molto presto.





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